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Tiziana Lupi ci racconta la nascita del libro dedicato allo scienziato Vincenzo Tiberio, poi medico della Marina, che scoprì il potere batterico delle muffe prima di Fleming

Firma la prefazione l'Ammiraglio Ispettore Capo Antonio Dondolini Poli dell’Ispettorato di Sanità della Marina Militare

Del 15 Maggio 2024

Un uomo, l’amore, la scienza. Tre parole che riassumono bene la vicenda dello scienziato Vincenzo Tiberio, poi medico della Marina, a cui la giornalista Tiziana Lupi (già autrice, tra gli altri, di Il nostro papa. La prima biografia illustrata di Francesco. Ediz. illustrata edito da Mondadori) dedica un libro “Il Nobel mancato” edito da Minerva e appena pubblicato. Reduce dal successo della prima presentazione romana con la Marina Militare, la Lupi ci ha raccontato la genesi di un testo che l’ha emozionata, coinvolta e le ha aperto gli occhi su un mare fino ad ora per lei sconosciuto.

Vincenzo Tiberio chi era?

“Vincenzo Tiberio è lo scienziato italiano che, trentatré anni prima di Fleming, scoprì il potere battericida delle muffe e, di fatto, gli antibiotici. Purtroppo, per ragioni legate alla sua vita privata (un amore apparentemente impossibile), Tiberio interruppe il suo lavoro di ricerca (peraltro pubblicato sugli Annali d’Igiene Sperimentale nel 1895 con il titolo di “Sugli estratti di alcune muffe) e decise di fare il concorso per arruolarsi come medico nell’allora Regia Marina”.

Come hai incontrato questa figura?

“Me ne parlò diversi anni fa uno dei nipoti di Tiberio, Giulio Capone, anch’egli medico. Da allora il mio desiderio è stato quello di raccontare la sua storia. Finalmente, grazie alle Edizioni Minerva, ci sono riuscita”.

«Nulla il tempo cancelli. Verrà il tempo per me, finalmente!» diceva Vincenzo Tiberio: sembra parlare di te e di questo libro!

“Ci ho pensato anch’io ed è anche per questo che ho deciso di riportare questa frase. Io spero davvero che, dopo tanti anni, venga il tempo di Tiberio e gli venga riconosciuto l’onore che merita”.

«Primo nella scienza, postumo nella fama»: e ora cosa accade?

“Dal punto di vista pratico, poco o nulla può accadere. Né la famiglia né tanto meno io abbiamo l’ambizione di voler riscrivere la storia della medicina. E non esiste il Nobel postumo! La speranza è che Tiberio ottenga il posto che merita e che sui libri di scienze il nome di Alexander Fleming venga quanto meno accompagnato, se non preceduto, da quello di Vincenzo Tiberio”.

Scrivere e narrare è già una forma di restituzione, significa fare memoria: quanto è importante che questa storia si conosca? C’è un messaggio universale sotteso?

“Io penso che ci sia più di un messaggio. Da un lato ci insegna a guardare le cose con occhi sempre attenti e curiosi, così come lui ha guardato quella muffa che era nel pozzo che si trovava nel cortile della casa dei suoi parenti, ad Arzano (Na). Lui notò che, quando le pareti del pozzo erano ricoperte di muffa, le persone che ne bevevano l’acqua stavano bene mentre, quando le pareti venivano ripulite, chi beveva l’acqua del pozzo andava incontro a disturbi intestinali. Con un intuito straordinario capì che in quella muffa c’era qualcosa di buono. Dall’altro lato ci insegna che certi grandi amori, come quello suo e di Lia, non finiscono mai. E che a volte, come recita la canzone, “fanno dei giri immensi e poi ritornano”!”.

Come è stato scrivere questo libro?

“Emozionante, per tutto quello che ho detto finora. E, anche, impegnativo perché, trattandosi della vita di una persona realmente esistita e di fatti scientifici rilevanti, non era permesso sbagliare”.

Cosa ti ha lasciato?

“Mi ha lasciato la consapevolezza che il nostro mestiere di scrivere, sia sui giornali sia nei libri, può essere ancora davvero utile ed emozionante e riservarci belle soddisfazioni”.

Che riscontro stai avendo nel presentarlo?

“Il libro è appena uscito e al momento abbiamo fatto solo la prima presentazione, a Roma, che è stata un successo. La maggior parte delle persone presenti non conosceva la storia di Tiberio e ne sono rimaste affascinate. Lo stesso vale per alcuni colleghi che hanno dedicato i loro articoli al libro. Speriamo di proseguire su questa strada!”.

Come ha accolto la tua pubblicazione la Marina?

“Con grande interesse e grande disponibilità. A questo proposito desidero ringraziare l’Ammiraglio Ispettore Capo Antonio Dondolini Poli dell’Ispettorato di Sanità della Marina Militare che ha firmato la prefazione del libro e che ci ha offerto la collaborazione e il sostegno della Marina per la prima presentazione e per quelle che verranno”.

La famiglia come ha reagito alla tua ricerca di verità?

“Come speravo, sono tutti molto contenti. In particolare lo sono Giulio Capone, che ho citato prima, e Anna Zuppa Covelli, un’altra nipote di Tiberio. È grazie a loro che ho potuto scrivere questo libro perché mi hanno regalato la possibilità di leggere e riportare parte dei diari del nonno e mi hanno raccontato aneddoti e ricordi familiari che hanno reso il racconto più “caldo”!”.

La lettura dei diari di Tiberio ti ha commosso?

“In alcuni momenti sì. In particolare quando Tiberio parla del suo amore disperato per Lia, della sua paura per la nascita delle figlie e della tragedia del terremoto di Messina del 1908 che lo vide impegnato nei soccorsi a bordo delle navi della Marina Militare. Mi hanno colpito anche i racconti delle navi dei migranti su cui lui prestava servizio, quelle navi che portavano oltreoceano i nostri connazionali che cercavano una nuova vita fuori dall’Italia. Sarebbe il caso di ricordarci che una volta gli “invasori” eravamo noi”.

C’è già una idea di film?

“L’idea c’è e, come credo, c’è anche il desiderio della Marina Militare. Vedremo”.

Che rapporto hai con il mare? O si tratta di un primo ‘incontro’ letterario?

“Un rapporto di “villeggiatura”, come tanti. Però non nascondo che, dopo i resoconti navali di Tiberio e dopo avere conosciuto, grazie ai racconti dell’Ammiraglio Dondolini Poli, le attività di soccorso e di salvataggio della Marina Militare e le sue operazioni umanitarie, ora lo guardo con occhi diversi”.

di Angela Iantosca